Fra tutte le funzioni proprie del nostro rito ambrosiano, le Litanie Triduane, o "Litanie Minori" sono certamente fra le più interessanti sotto il profilo storico e cerimoniale.
La tradizione ambrosiana conosce, sin dalla sue prime attestazioni, un triduo penitenziale conosciuto col nome di "Litanie Triduane" poiché situato nei primi tre giorni della settimana successiva a quella in cui si è festeggiata la Ascensione. Si tratta dunque del lunedì, martedì e mercoledì prima di Pentecoste.
La collocazione temporale è dunque, già ad una prima analisi, la principale caratteristica distintiva rispetto alle Rogazioni del Rito Romano, che si celebrano nella settimana prima dell'Ascensione.
Esaminando però i manoscritti dell'antica provincia ecclesiastica milanese di VII e VIII secolo, si nota che la collocazione di questo triduo penitenziale precisamente in questi ultimi giorni, è anzi propria di tutte le liturgie del Nord Italia.
Questo infatti è il quadro fornito dal Codex Mediolanensis, dal Codex Vercellensis e dal Reginensis Latinus 9, tutti attestanti tradizioni liturgiche che hanno molti tratti comuni con l'ambrosiana anche se non possono dirsi "ambrosiani in senso stretto".
È molto importante notare che anche il Codex Forojuliensis, risalente al sec. VI e con note liturgiche del VII, colloca le Litanie fra l'Ascensione e la V domenica dopo Pasqua.
Quest'ultimo infatti, testimone della tradizione liturgica aquileiese, fa riferimento ad un ambito che già all'epoca di Sant'Ambrogio doveva trovarsi al di fuori della provincia ecclesiastica milanese, seppure con importanti analogie sotto l'aspetto rituale.
I testi ambrosiani "in senso stretto" denominano, almeno fino alle soglie dell'età moderna, queste funzioni "Litanie Maggiori", nome successivamente assunto da quelle celebrate il 25 Aprile, e istituite da S. Gregorio Magno poco dopo la sue elezione al Sommo Pontificato.
Queste ultime sono peraltro assenti nei codici ambrosiani più antichi, e una prima traccia risulterebbe non prima del sec. XI a differenza delle Litanie triduane, che hanno invece chiara attestazione già nel capitolare e nell'evangelistario di Busto.
Ciò ci assicura, unitamente con quanto osservato per gli altri antichi codici della provincia ecclesiastica, sul fatto che esse siano di origine pre-carolingia.
Gli studi più recenti in merito all'epoca e al luogo ove queste funzione furono per la prima volta introdotte accreditano per lo più l'ipotesi che possa trattarsi di una importazione dalla Gallia Merovingia, in particolare dalle funzioni penitenziali introdotte per primo da San Mamerto Vescovo di Vienne tra il 471 e il 475 nella settimana prima dell'Ascensione.
Vi fanno riferimento nei loro scritti importanti personalità come Sidonio Apollinare e Avito di Vienne, oltre a S. Gregorio di Tours nella sua Historia Francorum.
Esse furono poi estese a tutta la Gallia dai Concili di Orléans del 511 e di Lione del 567.
Mentre questa ipotesi appare molto verosimile per la tradizione romana - le rogazioni infatti, secondo il Liber Pontificalis, furono rese obbligatorie da Papa Leone III nei primi anni del IX secolo - non poche sono le difficoltà ad accettarla per l'ambito ambrosiano e norditalico in genere.
Mentre infatti la tradizione romana, esattamente come quella gallicana, inserisce sempre le Rogazioni nella settimana precedente l'Ascensione, seppure con durata variabile, in rito ambrosiano, come già detto, esse ricorrono invariabilmente dopo l'Ascensione e prima di Pentecoste.
Se, come per il rito romano, si fosse veramente trattato di una mera importazione dalle Gallie, allora non si spiegherebbe per quale motivo se ne sarebbe dovuta spostare la data.
Dobbiamo invece piuttosto ipotizzare che la collocazione delle Litanie Triduane nella settimana prima della Pentecoste sia una tradizione antichissima propria dell'Italia Settentrionale.
Sappiamo per certo che la data della celebrazione fu sempre considerata come peculiare e distintiva della tradizione milanese.
Difatti, nei primi anni dell'XI secolo, il diacono Sant'Arialdo basò anche su questa notissima particolarità liturgica milanese la sua virulenta polemica contro le istituzioni ecclesiastiche contemporanee.
A sostegno delle sue tesi, Arialdo portava l'argomento che Sant'Ambrogio avesse espressamente proibito il digiuno in tutta la cinquantina pasquale.
Leggiamo infatti nel cap. 25 della sua "Esposizione del Vangelo secondo Luca":
"Et ideo majores tradidere nobis pentecostes omnes quinquaginta dies ut paschae celebrandos; quia octavae hebdomadis initium Pentecosten facit. [..] Ergo per hos quinquaginta dies jejunium nescit Ecclesia, sicut Dominica qua Dominus resurrexit, et sunt omnes dies tamquam Dominica." (Exp. Ev. secundum Lucam 8,25)
"E dunque i nostri antenati ci tramandarono che tutti i cinquanta giorni fino a Pentecoste fossero da celebrare come fossero Pasqua; poiché la Pentecoste segna l'inizio della ottava settimana. [...] Dunque per questi cinquanta giorni la Chiesa non conosce il digiuno, come la Domenica in cui il Signore risorse, e tutti i giorni sono come domenica".
Si tratta peraltro della medesima osservazione fatta da molti studiosi moderni nel tentativo di considerare la Litanie Triduale ambrosiane un tardo adattamento dell'uso gallicano, incompatibile con l'antichissima disciplina dei tempi di Ambrogio.
Tuttavia, già al tempo della violenta polemica patarina contro la presunta corruzione del clero milanese, il dotto milanese Landolfo, custode della "scientia ambrosiana", difese l'usanza del digiuno asserendo che esso ricorda quello degli Apostoli dopo l'Ascensione del Signore, in attesa della venuta dello Spirito Santo (Lc. 5,34-35; Mt. 9,15), ed è dunque perfettamente lecito.
Landolfo ha dunque memoria del fatto che, per gli ambrosiani, il triduo di digiuno fosse da considerarsi come preparazione alla venuta dello Spirito Santo, e fosse celebrato nella prospettiva della Pentecoste.
È molto interessante in proposito il fatto che anche uno scritto attribuito a San Filastrio di Brescia, un illustre contemporaneo di Sant'Ambrogio, ma probabilmente della metà del V sec., commentando i grandi digiuni dell'anno liturgico, descriva in termini molto simili quello precedente alla Pentecoste praticato alla sua epoca.
"Nam in Natale Salvatoris Domini jejunandum est, deinde in Pascha Quadragesimæ æque, in Ascensione itidem in celum post pascham die quadragesimo, inde usque ad pentecosten diebus decem aut postea, quod fecerunt beati Apostoli post ascensionem jejuniis et orationibus insistentes, ut scriptum est quod meruerint pro pentecosten plenitudinem divini spiritus et perfectionem consequi potestatis..." (Filastrii Episcopi Brixiensis diversarum Hereseon liber )
"Infatti si deve digiunare per il Natale del Signore Salvatore, e poi egualmente per la Pasqua, durante la Quaresima, parimenti per l'Ascensione al cielo nel quarantesimo giorno dopo Pasqua, poi fino alla Pentecoste per dieci o più giorni, cosa che fecero i Santi Apostoli dopo l'Ascensione per dieci giorni o più, dilungandosi in digiuni e orazioni, com'è scritto che meritarono di ottenere per la Pentecoste la pienezza dello Spirito Divino e la perfezione della potenza".
Ecco dunque che un testimone poco successivo al nostro Beato Patrono ed uno di sei secoli successivo, in contesti completamente differenti, paiono concordare pienamente nell'attestare l'esistenza di una importante commemorazione liturgica del digiuno degli Apostoli fra l'Ascensione e la Pentecoste corrispondente proprio alle litanie triduane.
Ma che dire della scelta della forma peculiare del triduo, in vece dell'unico giorno di penitena, come ad esempio nelle Litanie di San Gregorio celebrate il 25 Aprile?
Per rispondere a questo quesito, è utile notare che in rito siriaco è attestato sin da epoca molto antica il cosiddetto "digiuno dei Niniviti", preparatorio all'inizio della Quaresima.
Esso è denominato in siriaco Baʻūṯá d-Ninwáyé ovvero "Litanie/Rogazioni di Ninive".
Ebbene, l'orazione di benedizione delle ceneri da imporre sul capo dei penitenti, che la tradizione ambrosiana colloca nel primo giorno delle Litanie Triduane, fa esplicito riferimento al Digiuno dei Niniviti.
Essa è simile ad una delle orazioni per la benedizione delle ceneri che si trovano in diversi usi liturgici, fra cui quello romano all'inizio della Quaresima, ma con la peculiarità di fare riferimento al triduo penitenziale, che è assente nelle tradizioni non ambrosiane:
"Omnipotens et misericors Deus, qui peccantibus Ninivitis triduano jejunio mortis jacturam evadere tribuisti, adesto supplicationibus nostris: et huic cineri, quem pro peccatis nostris suscipere contrito corde decrevimus, tuæ benedictionis virtutem + infundere de coelis; ut sicut in veteri populo vitulæ cinis cum aqua respersus lustrationem peccantibus, te jubente, praestabat; ita et hinc, in tuo nomine sancti+ficatus, cinis iste ad abluendas peccatorum nostrorum sordes proficiat, et animarum nostrarum salutem operetur. Per Dominum...".
"Iddio onnipotente e misericordioso, che ai Niniviti peccatori concedesti di sfuggire alla disgrazia della morte con un triduo di digiuno, ascolta le nostre preghiere: e infondi dal cielo in questa cenere che abbiamo deciso di ricevere con cuore contrito la virtù della tua + benedizione; affinché come nell'antico tuo popolo la cenere di una vitella cosparso con acqua diede purificazione ai peccatori, così anche di qui, questa cenere santi+ficata nel tuo nome valga a purificare la corruzione dei nostri peccati, e attui la purificazione delle nostre anime. Per il Signor nostro..."
È dunque chiaro per la tradizione ambrosiana il rapporto di corrispondenza tipologica fra il digiuno di tre giorni dei Niniviti ed il digiuno preparatorio alla Pentecoste.
Ulteriore analogia con le tradizioni siriaca e copta consta nel fatto che il digiuno delle litanie cade i primi tre giorni della settimana: dal lunedì al mercoledì, ed il rito ha tutti caratteri propri della liturgia quaresimale.
Esattamente come avviene anche nelle tradizioni ambrosiana e nord-italica.
A sostegno della antichità e della tipicità della litanie ambrosiane si può anche menzionare che la struttura celebrativa delle sinassi proprie delle litanie presenta caratteri di grande arcaicità ed è assolutamente parallela, come vedremo, a quella delle funzioni penitenziali delle ferie quaresimali ambrosiane e delle vigile delle grandi feste.
Da una parte infatti, nella liturgia delle Litanie Triduane, ad ogni stazione fatta dal clero nelle chiese cittadine, sono previste delle "messe dei catecumeni" o "catechesi scritturali" del tutto analoghe e corrispondenti a quelle delle ferie infrasettimanali di quaresima o del venerdì santo.
D'altra parte, sono previste per ciascuno dei tre giorni delle azioni liturgiche in cui alla messa dei catecumeni segue la "messa dei fedeli" e dunque una compiuta celebrazione sacramentale. Esse sono tuttavia caratterizzate - come accade per le Vigilie di Natale, Epifania e Pentecoste e come probabilmente era in origine anche per le Messe ferie di Quaresima - dalla assenza completa di canti ad eccezione di quelli interlezionari.
L'aspetto "quaresimale" dei riti celebrati in queste ferie - sottolineato peraltro anche dal colore nero usato in entrambi i contesti - è del resto dichiarato dall'estensore della rubrica finale di un quattrocentesco antifonario processionale che afferma "cum hii tres dies rogatiunum quadragesimalibus diebus omnino assimilantur, officium etiam simile et similiter debeat celebrari".
La reale differenza fra la tradizione siriaca e quella ambrosiana sta nella scelta ambrosiana di non collocare questo digiuno prima dell'inizio della Quaresima, ma in preparazione alla Pentecoste.
Si potrebbe dunque ipotizzare che anche la consuetudine del digiuno penitenziale triduano di tradizione orientale sia giunta già da età molto antica.
Il digiuno di tre giorni dei Niniviti rappresenta dunque, sia nella tradizione orientale sia in quella ambrosiana, il typos o la figura di quanto avviene ogni anno in alcuni momenti nei quali la Chiesa si raccoglie in ascesi e penitenza.
Scelta propria del rito ambrosiano non è però di collocare questo triduo di litanie prima dell'inizio del digiuno quaresimale, ma dopo la dipartita del Signore Risorto e prima dell'infusione dello Spirito Santo sulla Chiesa.
Si potrebbe dunque ipotizzare che anche la consuetudine del digiuno penitenziale triduano di tradizione orientale sia giunta già da età molto antica in terra nord italica, forse attraverso quella che Baumstark chiamò "das syrische Einfallstor Ravenna".
La liturgia stazionale
Dopo avere indagato la possibile, remota origine delle Litanie Triduane ambrosiane, occorre ora tratteggiarne gli aspetti più propriamente celebrativi.
Le funzioni prescritte per il triduo delle litanie sono fra le più solenni e articolate dell'intero anno liturgico ambrosiano e costituiscono un particolare esempio di liturgia stazionale.
Nella liturgia delle litanie ambrosiane, infatti, alla antica e originaria natura di triduo dedicato al digiuno e alla penitenza in attesa della venuta dello Spirito Santo si aggiunse forse già in età pre-carolingia una supplicazione itinerante. Essa va intesa come rituale di consacrazione della cinta muraria urbica, attraverso la visita alle chiese ad essa adiacenti, con cui le si affida alla protezione dei Santi, affinché allontanino dalla città tutta dalle calamità esterne.
È qui importante ricordare che i riferimenti alla cinta muraria che si trovano nelle nostre prime fonti, su cui è plasmata tutta la liturgia, riguardano certamente quella romana, ampliata da Massimiano, e più volte restaurata. Difatti, la prima cinta successiva ad essa - quella dei cosiddetti "terraggi"- risale al 1156, dunque ben dopo le prime attestazioni pervenuteci dei riti previsti per queste funzioni.
Del resto, sappiamo che il collegamento fra le mura urbiche - baluardo fisico - e i santi venerati nella città - baluardo spirituale - è sicuramente antichissimo, ed ha una lunga storia nell'ambito specificatamente milanese.
Secondo la tradizione infatti, fu proprio Sant'Ambrogio a voler fondare le quattro grandi basiliche extramuranee "ai quattro punti cardinali" di Milano - la Basilica Martyrum, la Basilica Virginum, la Basilica Apostolorum e la Basilica Prophetarum (et Confessorum) - allo scopo di creare dei sacri baluardi che potessero difendere spiritualmente la città dalla incursioni del Male.
Le prime tre fra queste basiliche sopravvivono tutt'ora rispettivamente come Sant'Ambrogio, San Simpliciano, San Nazaro, mentre della quarta - San Dionigi - è in corso la riscoperta dei resti archeologici.
Anche se la teorizzazione di questo progetto di sacralizzazione della città non trova posto negli scritti santambrosiani, è noto come il nostro Beato Patrono nella celebre Epistola XX alla sorella Marcellina, sottolinei l'importanza dei grandi edifici di culto cristiano nella città come presidi a difesa della fede ortodossa di Milano capitale imperiale.
Dalle ricerche archeologiche, sappiamo inoltre che sovente, nei travagliati secoli successivi, tratti di mura non più utilizzati venivano trasformati in edifici religiosi.
È noto ad esempio che, sulla stessa linea di un bastione costruito da Narsete durante la guerra gotica, vennero successivamente costruite diverse chiese. Sui sito di una di esse sorge oggi la "rotona del pellegrini", adiacente all'odierno Palazzo Arcivescovile.
Parimenti, è noto che una delle torri della cinta muraria romana fu trasformata in età medievale in una cappella situata nel perimetro del Monastero Maggiore.
In età liutprandea - dopo quattro secoli di guerre ed invasioni che misero a dura prova la città ma ne rafforzarono la fede nelle difese soprannaturali - nel "Versum de Mediolano civitate", viene esaltata la protezione garantita alla città dai corpi santi che ne attorniano le possenti mura e le rendono ancor più inespugnabili.
Letanter ìbidem quiescunt sancti circa menia:
Victor, Nabor et Maternus, Felix et Eustorgius,
Nazarius, Simplicianus, Celsus et Valeria;
Magnus presul cum duobus sociis Ambrosius
Protasio Geruasioque manet, et Dionisius
Calemerusque; ibi almus Benedictus recubat.
Può essere utile in proposito ricordare in questa sede che gli studiosi moderni dividono le loro opinioni proprio fra quanti ritengono che l'istituzione delle litanie triduane vada ascritta al V secolo, in particolare al Vescovo S. Eusebio o all'epoca carolingia, ad opera di Odelberto.
Per Judith Frei tuttavia, in considerazione di elementi sicuramente databili ad età pre-carolingia, e alla scarsa dimostrabilità di una datazione altissima come il V secolo, propende piuttosto per l'età longobarda.
Di questo antico legame fra la cinta muraria della città romana e la protezione dei Santi la liturgia stazionale delle litanie triduane costituisce comunque certamente somma e solenne consacrazione.
Torniamo però ora alla descrizione dello svolgimento della liturgia stazionale delle litanie triduane.
I libri liturgici che ci permettono di seguirne lo sviluppo sono diversi, poiché i vari aspetti del rito - dal cerimoniale, al canto liturgico, alle orazioni, alle pericopi evangeliche - sono contenute in volumi separati.
Beroldo descrive con grande precisione il cerimoniale; il Manuale di Valtravaglia riporta le antifone prive di musica e alcune orazioni, ma non le letture; l'Evangelistario dei Cardinali Diaconi riporta tutte le letture dei tre giorni.
Inoltre, per le orazioni, fondamentali sono numerosi "rotuli" citati anche da Beroldo che l'Arcivescovo utilizzava per recitare via via le orazioni.
Il primo giorno, la funzione - che prevede il coinvolgimento dell'Arcivescovo, del Capitolo Metropolitano e di tutto il clero cittadino - ha inizio nella Cattedrale estiva, dove il canonico "cardinale" ebdomadario procede alla benedizione delle ceneri penitenziali con la formula già ricordata, che richiama il digiuno dei Niniviti.
Nella tradizione ambrosiana infatti la distribuzione delle ceneri è sempre stata situata all'inizio del triduo delle litanie, e mai in quaresima.
Ha poi immediatamente inizio la parte stazionale della funzione.
Al canto di una delle innumerevoli antifone previste per il triduo, e del salmo "Beati immaculati", che in Rito Ambrosiano spesso accompagna le processioni più solenni , il clero della Cattedrale si reca alla porta settentrionale della città in solenne corteo.
Vi trova posto, secondo il proprio rango, ogni ordine del clero catterale, ognuno preceduto dalla propria croce processionale.
Giunto davanti alle porte settentrionali della città, l'Arcivescovo intona la bellissima orazione "Mœstorum refugium", che così recita:
Moestorum refugium, Deus, tribulantium consolator, clementiam tuam suppliciter exoramus: ut afflictis oppressione gentium, auxilium tuae defensionis impendens, eripere nos et salvare digneris: Tribue, quaesumus, fortitudinem fessis, laborantibus opem, solatium tristibus, adiutorium tribulantibus. Circumda plebem hanc virtutis tuae auxilio; et omnes in ea manentes immensae pietatis defende iuvamine. Pone in fines et portis eius Angelorum custodiam, salutis ancilia, munitionem omnium sanctorum tuorum; ut qui pro peccatis nostris iuste affligimur, de sola tua misericordia confidentes, miserationis tuae munere adiuvemur. Quatenus a pressura hac, quae nos circumdedit, erepti, liberistibi mentibus gratias agentes servire possimus. Per Christum.
Terminata l'orazione, la processione si riforma per avviarsi verso la prima delle 12 chiese stazionali visitate nella prima giornata: San Simpliciano. In ogni tappa l'avanzare della processione è accompagnato dal canto delle antifone processionali prescritte.
Presso ciascuna delle chiese visitate ha dunque luogo una sinassi liturgica caratteristica di molte funzioni penitenziali ambrosiane - dalle ferie quaresimali alle vigilie di festa - che può sostanzialmente essere descritta come una arcaica messa dei catecumeni.
Alla statio con il canto dei "dodici kyrie"seguono una orazione, una lettura veterotestamentaria, un responsorio ed una lettura neotestamentaria.
Sappiamo che, nelle diverse circostanza, lo schema di questa sinassi scritturale può subire qualche modifica, in particolare per la posizione in cui si situa l'orazione, che talora è all'inizio della sinassi, come in questo caso, talatra è fra una lettura e l'altra - come nel caso della sinassi post tertiam del venerdì santo - altre volte ancora è dopo le letture, come nelle ferie quaresimali.
Notiamo per inciso che questa variabilità può certamente avere qualche legame con la posizione "debole" che la oratio super populum - l'unica situata nella messa dei catecumeni - ha nella messa ambrosiana, come ha ben notato la badessa benedettina Judith Frei nella sua edizione del Messale di San Simpliciano, talché spesso questa orazione non è identificabile come appartenente al patrimonio eucologico più antico.
Terminata questa funzione, la processione si riforma e ci si reca nella stazione successiva, ove si visita una nuova chiesa, e così via sino all'ultima. Conclusa anche l'ultima sinassi scritturale, alla fine della prima giornata, si ritorna nella cattedrale estiva, intonando un vero e proprio sallenzio, concluso da tre kyrie e dal responsorio "Agnus Dei".
Nella Cattedrale si celebra una messa completa, composta cioè sia dalla messa dei catecumeni, sia da quella dei fedeli.
Essa però, come spesso accade nelle messe di penitenza - ad esempio nelle vigilie delle grandi feste e nelle ferie "de exceptato"- è priva di antifone, ad eccezione del "cantus".
Per i due giorni successivi, la liturgia stazionale è identica, ma le chiese visitate sono differenti.
Anche il martedì e il mercoledì poi la peregrinazione si conclude con una messa celebrata in una delle due cattedrali.
In merito alle chiese via via visitate nel corso delle processioni del triduo, è stato notato che un terminus post quem abbastanza attendibile è fornito dalla inclusione della chiesa di San Giorgio che, secondo gli Annales Mediolanenses Minores, fu fondata dal Vescovo San Natale nel 750.
Se dunque dobbiamo ritenere che il costume del digiuno precedente alla Pentecoste sia molto antico, dobbiamo altresì prendere in considerazione la possibilità che la sistemazione definitiva della parte stazionale possa risalire alla fine dell'età longobarda.
Esse assursero tuttavia ad una tale importanza e acquisirono un tale valore paradigmatico, che funzioni come le litanie delle feriæ de exceptato, o le litanie delle ferie IV e VI di quaresima furono su di esse esemplate.
Aggiungiamo infine una osservazione: come è proprio delle liturgie stazionali autentiche, il legame fra le chiese ove si svolgono le funzioni e il testo delle preghiere che vi si recitano non è spesso casuale, ma ricco di rimandi tematici.
Analogamente a quanto accade infatti per la liturgia stazionale romana, in cui il testo delle messe celebrate nelle grandi basiliche urbiche è spesso ispirato alla vita e ai miracoli del santo a cui il titolo è dedicato, anche nel caso delle liturgie delle ferie triduane i rimandi tematici sono frequenti e chiarissimi.
Ad esempio, nel caso delle stazioni presso le chiese di S. Eufemia, S. Valeria o S. Agata almeno una delle due letture ha come protagonista una grande eroina biblica, o una delle donne che Gesù incontrò nella sua predicazione.
È interessante sottolineare che, a differenza delle liturgie delle ferie di quaresima, quelle della parte stazionale delle litanie triduane è fortemente incentrata sul culto dei santi, come ad esempio quella della liturgia stazionale romana.
Letture: Profeta Gioele 2, 12-21
Vangelo secondo Matteo: 5, 1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e,messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli»
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».