Oggi la Chiesa ci avvisa che nel Regno di Dio c'è una «unità di misura» secondo la quale siamo stimati. La superbia, infatti, è un vizio sottile che attecchisce ovunque esso può, anche nel bene, e allora lo uccide. L'umiltà, invece, è virtù onnipotente, che redime da qualsiasi male, anche se immenso, anche se estremo. Essa è il calice della nostra salvezza (Lez., Ep., Vang.). Nella grazia e nella gloria, la nostra statura si misura così: «chi si esalta, sarà umiliato; chi si umilia, sarà esaltato».
Letture: Daniele, 3, 34-35
Lettera di S. Paolo ai Corinti 3, 6-11
Vangelo secondo Luca 18, 9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».